stai pur certo che mai nessun bambino, tenterà spaventato di inseguire un aquilone malmesso; costruito con la gioia e con le mani nere, affaticate, del suo vecchio babbo malconcio; se nemmeno per un attimo riuscirà a sentire il calore del vento freddo, scompigliargli le lentiggini e i vecchi sandali. Mai nemmeno quel povero babbo, stanco un po’ del lavoro ingrato, oserà domandare un po’ più di pane, giusto un po’ per sfamare anche il gatto. Nè mai una lucciola penserà ad accendersi, se prima non vaga smarrita in un mare di buio, rasente alla terra per non inciampare in qualche ciuffo di gramigna. Così come un’ape non spiegherà mai le vele, e non insegnerà mai ai suoi piccoli, come azzardare l’assedio di un fiore; se prima non vedrà dal lontano alveare -ammaccato da zappe, canneti e scirocchi- il rosso fremente di quel tulipano; che ondeggia e che ondeggia perdendosi in petali. Bramerà così tanto il fresco contatto, coi petali insipidi; sognerà nella notte uno stelo pungente, in un prato di crochi. Ma quando poi il vento la spinge lontano, l’aiuta a librarsi, avrà il primo intoppo.
E le ali si chiudono al tocco di un foglio, un po’ rosso come quel fiore, un po’ ruvido come un disegno; colorato in modo arrangiato -coi carboni del camino, e qualche bacca dai toni accesi-; però molto bramato, dai sandali vitali di quel bimbo un po’ leggero, e del suo babbo malconcio.